Quanto alle influenze che la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha avuto sull’ordinamento interno in materia di rito penale minorile, va evidenziato come il d.P.R. n. 448, recante ‘Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni’ sia avvenuta anteriormente, sia pure di poco, all’adozione della CRC, vale a dire il 22 settembre 1988.
Nel confrontare i due testi non può non rilevarsi una fortissima consonanza, una sostanziale visione comune, sia con riguardo ai fini dell’intervento giudiziario, sia con riguardo agli strumenti delineati. Non è d’altra parte un caso che l’Italia sia considerata – in ambito europeo ed extraeuropeo – un faro nella costruzione di una giustizia penale a misura di minorenne.
Le assi portanti su cui si fonda l’intero assetto normativo sono tutte facilmente rinvenibili anche nella Convenzione: si pensi al principio di minima lesività del processo, così come alla non interruzione dei processi educativi e formativi in atto, e ancora alle finalità di responsabilizzazione e di crescita del minore “inciampato” nel reato.
Istituti come l’irrilevanza del fatto (art. 27 d.P.R. 448/88), e soprattutto la sospensione del processo con messa alla prova (artt. 28 s. d.P.R. 448/88) incarnano tali obiettivi e li rendono concreti attraverso progettualità quanto più possibile costruite “su misura” della singola persona coinvolta, grazie all’accompagnamento dei servizi minorili della giustizia.