Pur nell’estrema varietà che caratterizza il fenomeno del Cyberbullismo, diversi sono i reati che potrebbero astrattamente configurarsi dinanzi ad una delle condotte ivi richiamate.
L’invio di messaggi di contenuto denigratorio attraverso servizi di messaggistica, chat, forum o social network, se da un lato non può più integrare l’abrogato delitto di ingiuria, potrebbe dall’altro configurare un’ipotesi di diffamazione (art. 595 cod. pen.), aggravata dal fatto che, per giurisprudenza ormai costante, molte delle più diffuse forme di interazione sul web costituiscono “mezzi di pubblicità” in grado di provocare una più ampia diffusione del contenuto diffamatorio, giustificando così un più severo trattamento sanzionatorio.
Qualora i messaggi inviati assumano carattere molesto o minatorio, potrebbero ravvisarsi la contravvenzione di molestie o disturbo alle persone (art. 660 cod. pen.) o il delitto di minaccia (art. 612 cod. pen.); nel caso in cui tali condotte si susseguano in maniera sistematica e determinino un significativo pregiudizio alla serenità della persona offesa, potrebbe ritenersi integrato anche il più grave reato di atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.).
Nelle ipotesi in cui il bullo, celandosi dietro un account o un nickname, navighi sul web spacciandosi per un’altra persona al fine di far ricadere poi su quest’ultima eventuali conseguenze negative, potrebbe applicarsi il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.); qualora l’azione sia commessa avvalendosi delle credenziali di accesso ad un determinato servizio di comunicazione elettronica, potrebbe inoltre essere contestato il delitto di accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter cod. pen.)[10].
Nei casi in cui la condotta vessatoria si realizzi attraverso la diffusione di materiale sensibile riferito alla vittima, potrebbe venire in rilievo il recentemente istituito delitto che punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter cod. pen.); la norma appena menzionata, con una clausola di riserva, fa tuttavia salva l’applicazione di reati più gravi, come ad esempio quelli in tema di pedo-pornografia, ravvisabili qualora il materiale diffuso abbia come protagonista una persona di età inferiore ai diciotto anni (artt. 600-ter e 600-quater cod. pen.).
Ulteriori reati astrattamente configurabili possono infine essere individuati in quello di trattamento illecito di dati sanzionato dall’art. 167, d.lgs. n. 196/2003; in quello di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis cod. pen.); in quelli di estorsione (art. 629 cod. pen.) o truffa (art. 640 cod. pen.), allorché siano presenti anche profili di aggressione al patrimonio della vittima; infine, in alcuni casi di eccezionale gravità, non può escludersi di arrivare ad ipotizzare addirittura il delitto di istigazione al suicidio (art. 580 cod. pen.).
Sebbene nulla impedisca che le condotte sin qui descritte siano commesse da soggetti adulti e dunque pienamente esposti alle conseguenze penali da esse derivanti, dinanzi ad episodi di cyberbullismo aventi come autori soggetti minorenni occorre richiamare gli avvertimenti già forniti nell’apposito contributo in tema di bullismo: il codice penale esclude in via assoluta l’imputabilità dei minori di quattordici anni, (art. 97 cod. pen.), mentre impone di valutare in concreto la capacità di intendere e volere del reo d’età compresa fra i quattordici e i diciotto anni, prevedendo comunque, in caso di ritenuta imputabilità, un trattamento sanzionatorio mitigato (art. 98 cod. pen.). In ogni caso, l’applicazione di una pena nei confronti di un minore deve rappresentare sempre l’extrema ratio, avendo lo stesso legislatore inserito, nell’ambito del processo penale minorile, una serie di istituti finalizzati ad offrire possibili esiti alternativi del giudizio, nell’ottica di favorire quanto più possibile un percorso di rieducazione e reinserimento sociale del giovane che pur ha sbagliato.